giovedì 11 novembre 2010

LA FOTO DI FACEBOOK


Mi presento con la mia faccia su facebook.
Sì, ma con quale foto?  E dunque via alla ricerca della foto nella quale si è venuti meglio. La scelta cade spesso proprio sulle fotografie scattate in occasione delle cerimonie o delle vacanze, non a caso. La foto di cerimonia, infatti, benché abbia l’handicap di privare il soggetto di una parte importante del corpo, il braccio ad esempio al quale è incollato il “compagno” di foto, lo mostra nella sua forma migliore, o quanto meno ben vestito e “truccato”.
C’è chi, sebbene iscritto come singolo (si badi che potrebbe essere iscritto a facebook anche un gruppo familiare, o di altro tipo) pubblica su facebook la foto di cerimonia in cui compare con la famiglia, o almeno la moglie/il marito, proprio a scanso equivoci, anzi a sottolineare che la motivazione per la quale si è su facebook è lontana da qualunque mira poco lecita.
Se la posa per la foto scelta nel profilo, invece, è troppo ammiccante aprirà il fianco ad un altro tipo di disquisizione.
La moglie: “Perché hai pubblicato la tua foto senza di me?”
Il marito: “Ma sono io che ho l’account perché non ti iscrivi pure tu?”
Chiaro che la moglie sospettosissima non prenderà per buona questa affermazione e pretenderà di apparire con il marito all’interno della foto.
La foto delle vacanze, invece, propone un soggetto abbronzato, con corredo di occhiali da sole ed alle spalle un panorama mozzafiato…. di New York… di Londra… di Parigi… chiaro che il protagonista è, come la sottoscritta, probabilmente residente in una, sconosciuta ai più, provincia, e allora? Si sente cittadino del mondo ed il network lo autorizza!
Un’altra categoria rappresentativa è formata dalle ragazzine che alternano la posa sexy/imbronciata a quella ironica. Queste ultime, insomma, sono meno sicure di sé e preferiscono metterla sul ridere.
I ragazzi, invece, propongono pose spavalde, proprio come i loro coetanei, giovani negli anni Cinquanta.
Si dà per scontato che tutti inseriscano la foto nella quale ritengono di essere “venuti meglio”, ma quel che mi preme sottolineare è che quella foto nella quale si sta bene è spesso quella delle vacanze o della cerimonia. Non sembri paradossale il fatto che anche per la foto tombale, e per il santino da commemorazione, la foto scelta è spesso quella di una “festa”. Mi piacerebbe dunque individuare un numero X di tipologie di foto che rappresentino degli “idealtipi weberiani”, categorie cui il soggetto si rivolge per una “efficace” rappresentazione di sé e che a distanza di tanti anni è sempre uno stesso tipo di immagine ed in particolare: la foto di cerimonia e la foto delle vacanze. Ma non sono sempre gli stessi atteggiamenti che ricorrono nel tempo. Se ad esempio per i ragazzi è valido uno stesso modello culturale di riferimento, la “spregiudicatezza” dimostrata dalla foto di una giovane di oggi non è decisamente associabile alla foto “pudica” delle loro coetanee di sessant’anni fa.
La proposta di quest’articolo è dunque quella di una vostra partecipazione allo scopo di identificare un numero “X” di categorie che, alla stregua di idealtipi weberiani, connotino il modo di autorappresentarsi di una generazione: questa.
La pittura per prima, con il ritratto, e poi la fotografia (con la lastra fotografica e via via con la pellicola ed oggi la foto digitale) hanno insieme tracciato la storia della rappresentazione e dell’autorappresentazione del singolo, raccontando “la cultura” attraverso pose, acconciature, abbigliamenti, atteggiamenti. Si intende per cultura quel sistema cognitivo/valutativo per la rappresentazione tanto del sé quanto dell’altro; cultura che, in questo caso, si rintraccia tanto nelle intenzioni del fotografo quanto in quelle del soggetto della foto. Entrambi, infatti, attingono dalla propria cultura la giusta posa, la giusta mise.
 Attraverso facebok si realizza il sogno dell’antropologo: non è necessario trascorrere anni a mettere insieme l’archivio dal quale estrapolare le informazioni, perché queste sono lì a portata di mano. Ciascun soggetto si offre volontariamente e pubblicamente per questa ricerca. Basta solo avere il tempo, e l’energia, per mettere a confronto tante immagini che però, ed è da qui che parte l’idea, se le si osserva in una sola lunga sequenza sembrano ripetersi perché a ripetersi sono le pose e gli atteggiamenti,  i contesti e le espressioni. Consolatorio per chi, come sociologi ed antropologi, ha fatto uso di un ben più scarso campione rispetto a quello offerto dal network più abusato del mondo, per comprovare le proprie teorie.  


Propongo qui di seguito due usi diversi della foto-profilo di facebook: il primo ha uno scopo “nobile”, il secondo “goliardico”. Per ulteriori approfondimenti dei due articoli sono alla fine riportati gli indirizzi internet.
1. Cambiare la foto del proprio profilo sui social network con quella di Liu Xiaobo. Così la rete si è mobilitata per sensibilizzare gli utenti di tutto il mondo alla sorte del premio Nobel per la pace. Un'iniziativa simile era già stata messa in pratica da un gruppo di attivisti per i diritti civili fece alla fine del 2009, ma senza troppo successo. Intanto oggi in Cina le autorità hanno opposto un secco no alla visita dei diplomatici Ue alla moglie del Nobel per la Pace.
L'assegnazione del premio Nobel ha dato alla vicenda del dissidente cinese una notorietà internazionale. La reazione delle autorità cinesi è stata la censura. Tuttora nei media della Repubblica popolare la notizia non è ancora comparsa. Anche per abbattere questo muro di silenzio che gli utenti Facebook hanno cominciato a cambiare la propria foto con un'immagine di Liu Xiaobo.
Tra chi ha scelto di aderire a questa iniziativa c'è Giuliano Pisapia, candidato alle primarie del Partito democratico per le elezioni comunali di Milano, e il giornalista Franco Bomprezzi, noto per la sua attività di sensibilizzazione sui problemi delle persone disabili. Ecco cosa scrive ques'ultimo sul blog che tiene sul sito del settimanale Vita no profit.
«So che la Cina viene vista dall'Occidente e dall'Italia in particolare come il Paese di Bengodi, per i nostri investimenti, per le esportazioni. Ce ne freghiamo della libertà. Proprio il giorno prima del Nobel abbiamo celebrato questo idillio, con tanto di incontri ufficiali e di esaltazione di un'amicizia interessata. Dopo l'annuncio da Stoccolma, Obama ha alzato la voce, ha gridato: "Liberatelo". Qui niente, silenzio e dintorni».
«Non so - continua il giornalista - penso che forse Liu Xiaobo ci può aiutare a riprendere in mano il nostro destino di cittadini liberi. Mi piacerebbe un corteo di studenti per lui, e non contro la Gelmini. Mi piacerebbe un appello forte del nostro governo per la liberazione immediata di quest'uomo che non ha torto un capello a nessuno, e che deve scontare undici anni di carcere per reati di opinione. Mi piacerebbe un bel dossier sui giornali italiani tutto sulla libertà in Cina e nel mondo, sugli affari sporchi, sull'ambiente degradato, sul potere dei soldi. Mi piacerebbe tornare a sentir battere il cuore per una giusta causa, finalmente, come quando ci infiammavamo, con idee diverse ma con un sentire comune, per la primavera di Praga e per il Vietnam. Forse ce la possiamo ancora fare. Io, intanto, ci ho messo la faccia. Grazie Liu Xiaobo. Vinceremo».

www.ilsole24ore.com/...11/foto-xiaobo-profili-facebook-150248.shtml
2.
QUELLI CHE NELLA FOTO DI FACEBOOK SONO SUPERFIGHI E NELLA REALTA'...
Categoria:
Descrizione:
Quelli che in facebook sembrano degli strafighi e invece sono dei racchi pazzeschi.
Tipo di privacy:
Aperto: i contenuti sono visibili a tutti.
Amministratori
Questo gruppo non ha più amministratori!
Membri
5 di 69 membri

            http://www.maschiodominantelatinooffresiedatesi.com/21 agosto 12.25.37
            

martedì 19 ottobre 2010

Libri pubblicati da Barbara Napolitano


Un mercante di Favole su misura, una strampalata affittacamere,
un esilarante trio di pensionati ed una ragazza alla ricerca dell'amore
sono tra i protagonisti di questa ironica favola moderna.









Libri di Napolitano Barbara
Ordina per: 
Autore:  Napolitano Barbara
Editore:  Amaltea Editrice
Genere:  letteratura per ragazzi
Collana : I pungitopo
Data pubbl.: 2003
Normalmente disponibile per la spedizione in 8/10 giorni lavorativi

domenica 3 ottobre 2010

Il tempo e la fotografia...

Il tempo e la fotografia


Il tempo che trascorro osservando, catalogando, rimaneggiando, salvando o buttando via foto è un tempo significativo della mia vita. Questo tempo è diviso in due parti: uno dedicato alla foto digitale, una foto che “scatto ora”, e che contestualmente decido di mantenere o di buttar via a seconda che la ritenga una buona o una cattiva foto, poiché ne fruisco immediatamente attraverso il display della mia macchina, o per il tramite del mio computer, e che riguarda sostanzialmente il mio lavoro e le persone che popolano la mia vita oggi; ed un tempo riservato alla foto “analogica”, confezionata con un solo scatto, scoperta solo al momento dello sviluppo, esposta spesso nella sequenza di un album, ma anche sparpagliata, e tenuta a conserva negli archivi familiari. Molte di queste ultime immagini, alle quali personalmente sono legata in maniera diversa a seconda del tempo della mia vita in cui le osservo, come per esempio in seguito ad un lutto importante, mi restituiscono sensazioni ed esistenze di persone che non sono più, mi riportano a tempi in cui potevo toccare loro in luogo della fotografia, spesso mi portano via per ore senza che me ne accorga. Anche la scelta della loro catalogazione, la sequenza che esprimono nell’impaginato spesso soggetto alla tirannia di epoche ed eventi, finisce per attrarre e conservare per tempi indebiti la mia attenzione.
Il rapporto continuamente cercato con le immagini, per quanto mi riguarda, immagini tutte indissolubilmente legate al passato, dal momento che una volta effettuato lo scatto il momento già non è più, mi consentono di sopportare meglio l’idea del non esserci. La foto mi garantisce la possibilità di perpetuare il ricordo, di rinnovare le presenze di coloro che ho amato nella mia vita, e mi consente di preventivare quale “ricordo” di me lasciare a chi resta. Ed è proprio per questo che la scelta delle situazioni, delle pose, dei momenti, da conservare diventano così importanti, è per questo che “nella” foto mi perdo e perdo tanto tempo. Non certo dunque, per affermare una impossibile immortalità, della persona, ma decisamente per rinnovarne la presenza per garantirne un ricordo che sia quanto più possibile vicino alla rappresentazione che ne ho, in modo particolare quando questa rappresentazione mi sopravvivrà nella vita dei miei figli. Per me, dunque, la foto è memoria, al contrario di quanto afferma Barthes (1), però, non è una memoria che esclude tutte le altre informazioni che non sono contenute all’interno della foto, e che non hanno a che fare con la mia rappresentazione, a meno che io non verbalizzi. Mi spiego. Quando osservo la foto da sola ne colgo i particolari inquadrati e basta. Laddove, per esempio, io osservi una foto della mia famiglia, ne colgo le espressioni, valuto l’età dei soggetti ritratti, indago sulla circostanza in cui fu scattata la foto e probabilmente mi fermo a questo. Posso aggiungere sensazioni che hanno o meno a che fare con i miei stati d’animo nei confronti dei soggetti ritratti. Appena, però, mi trovo in compagnia di qualcuno a cui descrivere questa foto, essa non è altro che una partenza alla quale aggiungere una quantità di informazioni che via via riempiono la memoria di circostanze e luoghi che nel discorso sono portate alla mente da quell’immagine. Nel caso delle foto di famiglia, per esempio, è possibile che partendo dalla relazioni di parentela si finisca con il parlare delle vicende storico-geologiche-geografiche di un insieme di persone, di una nazione, ad esempio: “questa è mia madre, a destra suo fratello con la moglie… qui non erano ancora emigrati in Australia… sono davanti alla prima casa di mamma, quella che fu distrutta dopo il terremoto dell’80…”
Da questa immagine, in sostanza, si rintracciano tutta una serie di dati che portano il soggetto a ricostruire eventi e situazioni non necessariamente evidenti dalla foto, ma che da questa partono per arrivare a comporre la storia di una famiglia, di una società.
Nel romanzo di Jonathan Coe “La pioggia prima che cada” (2) la ricostruzione delle vicende di una famiglia disgregata sono affidate a venti fotografie, accuratamente scelte dalla narratrice, protagonista del romanzo, che da una stampa degli anni trenta, fino ad una immagine scattata negli anni ottanta (quindi in un arco temporale che copre ben cinquanta anni) ricompone oltre che le proprie vicissitudini, anche il quadro di un’epoca, dei suoi cambiamenti, delle trasformazioni in atto nel tempo di mezzo alle due guerre mondiali. È particolarmente interessante notare che l’autore si impegna pure in una descrizione “tecnica” della foto, sottolineandone cioè il tipo (una foto in bianco/nero, piuttosto che a colori, una immagine con diversi gradi di profondità con soggetti posti su piani diversi, e così via), proprio perché anche queste caratteristiche divengono importanti quando le fotografie si analizzano come documenti di importanza storica e sociale.  
Per quanto riguarda me, la mia foto, è un documento utilizzato in maniera terapeutica: una foto attraverso la quale io rinnovo continuamente il mio esserci nel mondo, rinnovo la presenza di coloro che hanno fatto parte della mia vita, garantisco a me stessa che ci sono state, che hanno vissuto e che vivranno in quell’immagine e contestualmente promettono anche a me di esserci per chi dalla foto mi osserverà e cercherà le mie espressioni, promettono anche a me di sopravvivermi in qualche modo.
Al contrario, mi sembra che il video certifichi in maniera ineluttabile la morte rispetto alla vita. Il video nel riproporre il movimento, la voce, la “vitalità” della persona attesta inequivocabilmente che essa non è più. Certifica in maniera inappellabile che quella persona non esiste più dal momento che non è possibile rinnovarne il muoversi. La foto, al contrario ha stigmatizzato “un momento”, nella foto se per un verso si è già un po’ morti l’istante dopo, poiché l’istante è passato e nello scatto si è determinato il non essere più, d’altra parte ha reso quell’istante immanente. Nel video sono contemporaneamente contenute troppe informazioni.
Nel video il tempo è scelto dalla sequenza dei 25 fotogrammi, nella foto il tempo lo scegli tu.
Nel video il confronto con la voce, la situazione, spesso la presenza di tante variabili distraggono e impediscono di concentrarsi solamente su alcuni degli elementi presenti, tralasciando il fatto che spesso il ritrovamento dell’esperienza “tattile” che in particolare la foto d’archivio e la foto di famiglia consente, nei suoi ingiallimenti, nelle pieghe, in quel sapore di “storia” che la fotografia lascia non sono fruibili da un filmato. Spesso, anzi, l’abitudine di “riversare” i vecchi 16 mm, gli 8 e i super 8 ereditati in più comodi dvd, mi sembra sottraggano il piacere della visione, certo per consentirne una più facile “messa in onda”.
Passo tanto tempo con le foto. Tanto con quelle che mi ritraggono con i miei figli. Opero per loro una regia “fotografica”, lasciando dietro di me un patrimonio di ricordi per immagini che racconti loro, almeno è nelle mie intenzioni, quanto è stata bella la loro infanzia.

1.Roland Barthes, “La camera chiara. Nota sulla fotografia.”
2. Il titolo prende origine dalla frase, apparentemente insensata, che viene pronunciata da una bambina, Thea, sulla riva di un lago. Coe si affida alle emozioni di Thea per catturare quegli istanti che precedono un temporale: odori, rumori, ma anche bisogno di proteggersi, di correre, di coprirsi. È proprio su quel lago sta per finire un grande amore, quello di Rosamond e Rebecca, due giovani donne che sfidano le convenzioni di una Inghilterra anni cinquanta. Il libro è un raccolta di istantanee che Rosamond, settantenne e stanca di vivere, descrive in ogni dettaglio a Imogen, figlia di Thea, cieca dall'età di tre anni. Coe narra una storia lunga 50 anni attraverso la descrizione minuziosa di venti fotografie ad una donna non vedente. Rosamond si affida ad un registratore e riempie ben quattro cassette. Si scola qualche bicchiere di whisky, aggiunge qualche goccia di diazepam e lascia un messaggio ad una sua nipote vivente, Gill: «Scova Imogen, falle avere questi nastri, deve conoscere la sua storia, la nostra storia».


PROPOSTA DI RICERCA:
Contenuto della ricerca la percezione, le modalità di fruizione e la volontà di lasciare un certo tipo di immagine ai posteri…
Modalità della raccolta dati: attraverso un blog dedicato alla fotografia, ben pubblicizzato, che abbia come target importante di riferimento un campione di individui di età compresa tra i trenta ed i cinquant’anni.
Il passaggio dalla foto “ANALOGICA” alla foto “DIGITALE”.
Il trattamento, le modifiche e la stampa delle fotografie. La creazione dell’album. La capacità di astrazione dalla foto; il contenuto della foto nel corso del tempo. Le categorie e le professioni legate alla fotografia.