Il tempo e la fotografia
Il tempo che trascorro osservando, catalogando, rimaneggiando, salvando o buttando via foto è un tempo significativo della mia vita. Questo tempo è diviso in due parti: uno dedicato alla foto digitale, una foto che “scatto ora”, e che contestualmente decido di mantenere o di buttar via a seconda che la ritenga una buona o una cattiva foto, poiché ne fruisco immediatamente attraverso il display della mia macchina, o per il tramite del mio computer, e che riguarda sostanzialmente il mio lavoro e le persone che popolano la mia vita oggi; ed un tempo riservato alla foto “analogica”, confezionata con un solo scatto, scoperta solo al momento dello sviluppo, esposta spesso nella sequenza di un album, ma anche sparpagliata, e tenuta a conserva negli archivi familiari. Molte di queste ultime immagini, alle quali personalmente sono legata in maniera diversa a seconda del tempo della mia vita in cui le osservo, come per esempio in seguito ad un lutto importante, mi restituiscono sensazioni ed esistenze di persone che non sono più, mi riportano a tempi in cui potevo toccare loro in luogo della fotografia, spesso mi portano via per ore senza che me ne accorga. Anche la scelta della loro catalogazione, la sequenza che esprimono nell’impaginato spesso soggetto alla tirannia di epoche ed eventi, finisce per attrarre e conservare per tempi indebiti la mia attenzione.
Il rapporto continuamente cercato con le immagini, per quanto mi riguarda, immagini tutte indissolubilmente legate al passato, dal momento che una volta effettuato lo scatto il momento già non è più, mi consentono di sopportare meglio l’idea del non esserci. La foto mi garantisce la possibilità di perpetuare il ricordo, di rinnovare le presenze di coloro che ho amato nella mia vita, e mi consente di preventivare quale “ricordo” di me lasciare a chi resta. Ed è proprio per questo che la scelta delle situazioni, delle pose, dei momenti, da conservare diventano così importanti, è per questo che “nella” foto mi perdo e perdo tanto tempo. Non certo dunque, per affermare una impossibile immortalità, della persona, ma decisamente per rinnovarne la presenza per garantirne un ricordo che sia quanto più possibile vicino alla rappresentazione che ne ho, in modo particolare quando questa rappresentazione mi sopravvivrà nella vita dei miei figli. Per me, dunque, la foto è memoria, al contrario di quanto afferma Barthes (1), però, non è una memoria che esclude tutte le altre informazioni che non sono contenute all’interno della foto, e che non hanno a che fare con la mia rappresentazione, a meno che io non verbalizzi. Mi spiego. Quando osservo la foto da sola ne colgo i particolari inquadrati e basta. Laddove, per esempio, io osservi una foto della mia famiglia, ne colgo le espressioni, valuto l’età dei soggetti ritratti, indago sulla circostanza in cui fu scattata la foto e probabilmente mi fermo a questo. Posso aggiungere sensazioni che hanno o meno a che fare con i miei stati d’animo nei confronti dei soggetti ritratti. Appena, però, mi trovo in compagnia di qualcuno a cui descrivere questa foto, essa non è altro che una partenza alla quale aggiungere una quantità di informazioni che via via riempiono la memoria di circostanze e luoghi che nel discorso sono portate alla mente da quell’immagine. Nel caso delle foto di famiglia, per esempio, è possibile che partendo dalla relazioni di parentela si finisca con il parlare delle vicende storico-geologiche-geografiche di un insieme di persone, di una nazione, ad esempio: “questa è mia madre, a destra suo fratello con la moglie… qui non erano ancora emigrati in Australia… sono davanti alla prima casa di mamma, quella che fu distrutta dopo il terremoto dell’80…”
Da questa immagine, in sostanza, si rintracciano tutta una serie di dati che portano il soggetto a ricostruire eventi e situazioni non necessariamente evidenti dalla foto, ma che da questa partono per arrivare a comporre la storia di una famiglia, di una società.
Nel romanzo di Jonathan Coe “La pioggia prima che cada” (2) la ricostruzione delle vicende di una famiglia disgregata sono affidate a venti fotografie, accuratamente scelte dalla narratrice, protagonista del romanzo, che da una stampa degli anni trenta, fino ad una immagine scattata negli anni ottanta (quindi in un arco temporale che copre ben cinquanta anni) ricompone oltre che le proprie vicissitudini, anche il quadro di un’epoca, dei suoi cambiamenti, delle trasformazioni in atto nel tempo di mezzo alle due guerre mondiali. È particolarmente interessante notare che l’autore si impegna pure in una descrizione “tecnica” della foto, sottolineandone cioè il tipo (una foto in bianco/nero, piuttosto che a colori, una immagine con diversi gradi di profondità con soggetti posti su piani diversi, e così via), proprio perché anche queste caratteristiche divengono importanti quando le fotografie si analizzano come documenti di importanza storica e sociale.
Per quanto riguarda me, la mia foto, è un documento utilizzato in maniera terapeutica: una foto attraverso la quale io rinnovo continuamente il mio esserci nel mondo, rinnovo la presenza di coloro che hanno fatto parte della mia vita, garantisco a me stessa che ci sono state, che hanno vissuto e che vivranno in quell’immagine e contestualmente promettono anche a me di esserci per chi dalla foto mi osserverà e cercherà le mie espressioni, promettono anche a me di sopravvivermi in qualche modo.
Al contrario, mi sembra che il video certifichi in maniera ineluttabile la morte rispetto alla vita. Il video nel riproporre il movimento, la voce, la “vitalità” della persona attesta inequivocabilmente che essa non è più. Certifica in maniera inappellabile che quella persona non esiste più dal momento che non è possibile rinnovarne il muoversi. La foto, al contrario ha stigmatizzato “un momento”, nella foto se per un verso si è già un po’ morti l’istante dopo, poiché l’istante è passato e nello scatto si è determinato il non essere più, d’altra parte ha reso quell’istante immanente. Nel video sono contemporaneamente contenute troppe informazioni.
Nel video il tempo è scelto dalla sequenza dei 25 fotogrammi, nella foto il tempo lo scegli tu.
Nel video il confronto con la voce, la situazione, spesso la presenza di tante variabili distraggono e impediscono di concentrarsi solamente su alcuni degli elementi presenti, tralasciando il fatto che spesso il ritrovamento dell’esperienza “tattile” che in particolare la foto d’archivio e la foto di famiglia consente, nei suoi ingiallimenti, nelle pieghe, in quel sapore di “storia” che la fotografia lascia non sono fruibili da un filmato. Spesso, anzi, l’abitudine di “riversare” i vecchi 16 mm, gli 8 e i super 8 ereditati in più comodi dvd, mi sembra sottraggano il piacere della visione, certo per consentirne una più facile “messa in onda”.
Passo tanto tempo con le foto. Tanto con quelle che mi ritraggono con i miei figli. Opero per loro una regia “fotografica”, lasciando dietro di me un patrimonio di ricordi per immagini che racconti loro, almeno è nelle mie intenzioni, quanto è stata bella la loro infanzia.
1.Roland Barthes, “La camera chiara. Nota sulla fotografia.”
2. Il titolo prende origine dalla frase, apparentemente insensata, che viene pronunciata da una bambina, Thea, sulla riva di un lago. Coe si affida alle emozioni di Thea per catturare quegli istanti che precedono un temporale: odori, rumori, ma anche bisogno di proteggersi, di correre, di coprirsi. È proprio su quel lago sta per finire un grande amore, quello di Rosamond e Rebecca, due giovani donne che sfidano le convenzioni di una Inghilterra anni cinquanta. Il libro è un raccolta di istantanee che Rosamond, settantenne e stanca di vivere, descrive in ogni dettaglio a Imogen, figlia di Thea, cieca dall'età di tre anni. Coe narra una storia lunga 50 anni attraverso la descrizione minuziosa di venti fotografie ad una donna non vedente. Rosamond si affida ad un registratore e riempie ben quattro cassette. Si scola qualche bicchiere di whisky, aggiunge qualche goccia di diazepam e lascia un messaggio ad una sua nipote vivente, Gill: «Scova Imogen, falle avere questi nastri, deve conoscere la sua storia, la nostra storia».
PROPOSTA DI RICERCA:
Contenuto della ricerca la percezione, le modalità di fruizione e la volontà di lasciare un certo tipo di immagine ai posteri…
Modalità della raccolta dati: attraverso un blog dedicato alla fotografia, ben pubblicizzato, che abbia come target importante di riferimento un campione di individui di età compresa tra i trenta ed i cinquant’anni.
Il passaggio dalla foto “ANALOGICA” alla foto “DIGITALE”.
Il trattamento, le modifiche e la stampa delle fotografie. La creazione dell’album. La capacità di astrazione dalla foto; il contenuto della foto nel corso del tempo. Le categorie e le professioni legate alla fotografia.