martedì 13 dicembre 2011
lunedì 5 dicembre 2011
E' DI SCENA... ANNA CAMERLINGO
In occasione della pubblicazione del libro fotografico "Questi Fantasmi" edito da Rai Trade in omaggio alla commedia di Eduardo De Filippo, riproposta da Massimo Ranieri per Rai Uno, incontriamo Anna Camerlingo, fotografa che da anni realizza reportage "dietro le quinte". La competenza e la caparbietà nella ricerca dello "scatto" giusto, danno alle foto di Anna una connotazione che di volta in volta sorprende per profondità e carattere "inedito". La sua capacità più rappresentativa, infatti, è a mio giudizio, quella di realizzare immagini mai banali, che necessitano di letture multiple per poterne apprezzare veramente la quantità di livelli.
A solo titolo esemplificativo vi propongo qui sopra uno dei suoi ultimi scatti che ti trascina letteralemente dentro la scena, poi vi lascio alle sue parole che seguono un divertente siparietto con Jocelyn....
A solo titolo esemplificativo vi propongo qui sopra uno dei suoi ultimi scatti che ti trascina letteralemente dentro la scena, poi vi lascio alle sue parole che seguono un divertente siparietto con Jocelyn....
martedì 11 ottobre 2011
La fotografia sociale
La capacità dell'uomo di commuoversi, scandalizzarsi, sentirsi impotente, ritenere necessaria la denuncia, arrabbiarsi, disperarsi davanti a scene di cruda realtà sono il motivo dell'esistenza della foto sociale.
Si riconosce in Jacob A. Riis (1849-1940) il ruolo di primo vero rappresentante della foto sociale; le sue immagini hanno raccontato il grado di miseria di New York. Riis è stato il primo a capire che le immagini potevano arrivare oltre qualunque descrizione.
Riis è riuscito ad applicare con profitto l'utilizzo della tecnica fotografica alla denuncia sociale.
Beaumont Newhall, in Storia della fotografia scrive: "...la luce accecante rivela con impietosa minuzia i sordidi interni, ma illumina quasi con tenerezza i visi delle persone condannate a viverci dentro. Guardò sempre con simpatia la gente, sia che fotografasse gli Street Arabs (ragazzi di strada) che rubavano da un carretto, o gli abitanti del vicolo noto come Bandits' Roost (covo dei banditi) che fissavano con arroganza l'apparecchio dalle porte, dai balconi, dalle finestre. Queste fotografie sono importanti non solo come fonte di informazione, ma anche per la loro forza emotiva. Sono nello stesso tempo interpretazioni e testimonianze; pur non essendo più attuali, hanno qualità che dureranno fintanto che l'uomo si interesserà dei suoi fratelli."
Oggi siamo "abituati" a vedere messe in primo piano le immagini che raccontano la povertà, il degrado. Spesso pubblicate senza conoscerne gli autori, queste foto troppo spesso non colpiscono neanche gli utenti, assuefatti al degrado quasi fosse endemico alla società.
Non facciamo che sia così.
"Esiste, in effetti, un'influenza tra la nostra consapevolezza dei problemi sociali e la loro rappresentazione. Ma se da un lato la diffusione della fotografia sociale ha, in larga misura, contribuito a rendere questi problemi ciò che sono in realtà, e cioè le più grandi sfide della nostra società, dall'altro è anche vero che questa diffusione comporta dei rischi quali la banalizzazione delle immagini, l'abitudine a quanto dovrebbero denunciare, il disinteresse del pubblico, la saturazione dei mezzi di comunicazione, la spirale dell'orrore...
Bisogna, quindi, che i fotografi si impongano una deontologia e che l'utilizzo delle immagini rispetti un'etica rigorosa. Bisogna anche che ognuno, davanti alla rappresentazione di sofferenza e ingiustizia, mantenga intatta la capacità di commuoversi, di rifiutare e di ribellarsi." da "La fotografia sociale" di Michel Christolhomme.
lunedì 22 agosto 2011
DAL CORRIERE DELLA SERA, FOTOGALLERY
: "L'artista americana Alexa Meade dipinge il modello Will Claybaugh durante una performance all'Irvine Contemporary gallery di Washington. Meade ha dipinto 24 persone in modo che apparissero come quadri o fotografie".
L'OPERA E' PARTICOLARISSIMA... MA ANCHE L'ORIGINALE NON SEMBRA MALE...
: "L'artista americana Alexa Meade dipinge il modello Will Claybaugh durante una performance all'Irvine Contemporary gallery di Washington. Meade ha dipinto 24 persone in modo che apparissero come quadri o fotografie".
L'OPERA E' PARTICOLARISSIMA... MA ANCHE L'ORIGINALE NON SEMBRA MALE...
lunedì 25 luglio 2011
La foto di matrimonio…
Facce pensose, facce sorridenti. Mani guantate in primo piano. Quinte finemente illuminate.
Parenti fermi, in posa sulle scale come sugli scogli.
La foto di matrimonio, già fonte di grassi guadagni e fini tecniche di ripresa negli anni Ottanta e Novanta, è andata via via migliorando con il progresso nel broadcast dedicato alla fotografia. La foto digitale, nella sua postproduzione più che nella sua realizzazione, ha permesso ad una quantità inverosimile di tipi di foto di venir fuori.
Es
Matrimonio in costiera - Fotografia matrimonio Foto Video Gris - Pimonte (Napoli)
Negli anni Cinquanta lo spazio dedicato alle foto del matrimonio era nella maggior parte dei casi riservato ad una ventina di foto. La prima era scattata fuori dalla chiesa, a matrimonio avvenuto, con i parenti tutti a far da sfondo. Nella migliore delle ipotesi le successive foto seguivano il banchetto di nozze. Solo i più ricchi potevano garantirsi un fotografo professionista, mentre si faceva più spesso riferimento al parente “appassionato” di fotografia che si produceva in qualche scatto per gli sposi.
http://www.avellinesi.it/ultimedigennaio/matrimonio%20ai%20liguorini%20anni%2060.jpg
Negli anni Ottanta l’industria del matrimonio si fa più raffinata, specialmente al Sud: gli album si appesantiscono anche nel supporto, si scelgono copertine di cuoio, pagine di pesante grammatura sulle quali incollare foto gigantesche, a doppia pagina, con gli angoli un po’ bruciacchiati, o colorati a mano in alcune bordature. È un album sostanzialmente fatto “a mano”, che lascia grande spazio alle capacità di bricolage del fotografo. Per trasportarlo, custodito nell’immancabile valigetta anch’essa di cuoio, è necessaria una “carrucola”.
Es
La nuova fotografia digitale, oltre a facilitare lo scatto della foto con la pluralità dei menù proposti dalla macchina, rende più leggera la dotazione del fotografo professionista, non più sepolto da un mare di spot e flaschettini più o meno leggeri da trainare dalla chiesa al ristorante.
La proposta di questo blog è raccogliere un piccolo archivio, elaborato su un numero di dieci foto scelte e tratte dagli album di famiglia, che rappresentino il passaggio dalle foto degli anni Cinquanta ad oggi.
http://www.nozzeallamenta.com/italian/matrimonio_nel_medioevo.html
Parenti fermi, in posa sulle scale come sugli scogli.
La foto di matrimonio, già fonte di grassi guadagni e fini tecniche di ripresa negli anni Ottanta e Novanta, è andata via via migliorando con il progresso nel broadcast dedicato alla fotografia. La foto digitale, nella sua postproduzione più che nella sua realizzazione, ha permesso ad una quantità inverosimile di tipi di foto di venir fuori.
Es
Matrimonio in costiera - Fotografia matrimonio Foto Video Gris - Pimonte (Napoli)
Negli anni Cinquanta lo spazio dedicato alle foto del matrimonio era nella maggior parte dei casi riservato ad una ventina di foto. La prima era scattata fuori dalla chiesa, a matrimonio avvenuto, con i parenti tutti a far da sfondo. Nella migliore delle ipotesi le successive foto seguivano il banchetto di nozze. Solo i più ricchi potevano garantirsi un fotografo professionista, mentre si faceva più spesso riferimento al parente “appassionato” di fotografia che si produceva in qualche scatto per gli sposi.
http://www.avellinesi.it/ultimedigennaio/matrimonio%20ai%20liguorini%20anni%2060.jpg
Negli anni Ottanta l’industria del matrimonio si fa più raffinata, specialmente al Sud: gli album si appesantiscono anche nel supporto, si scelgono copertine di cuoio, pagine di pesante grammatura sulle quali incollare foto gigantesche, a doppia pagina, con gli angoli un po’ bruciacchiati, o colorati a mano in alcune bordature. È un album sostanzialmente fatto “a mano”, che lascia grande spazio alle capacità di bricolage del fotografo. Per trasportarlo, custodito nell’immancabile valigetta anch’essa di cuoio, è necessaria una “carrucola”.
Es
La nuova fotografia digitale, oltre a facilitare lo scatto della foto con la pluralità dei menù proposti dalla macchina, rende più leggera la dotazione del fotografo professionista, non più sepolto da un mare di spot e flaschettini più o meno leggeri da trainare dalla chiesa al ristorante.
La proposta di questo blog è raccogliere un piccolo archivio, elaborato su un numero di dieci foto scelte e tratte dagli album di famiglia, che rappresentino il passaggio dalle foto degli anni Cinquanta ad oggi.
http://www.nozzeallamenta.com/italian/matrimonio_nel_medioevo.html
mercoledì 15 giugno 2011
MERCOLEDì 22 GIUGNO 2011 ALLE ORE 11,00 NEL FOYER DELL'AUDITORIUM RAI DI NAPOLI PRESENTAZIONE DEL LIBRO "DAL CITTADELLA ALLA CHAMPIONS. IL NAPOLI ED I NAPOLETANI", EDIZIONE CENTOAUTORI.
A cura di Barbara Napolitano, saggi di Barbara Napolitano, Fabrizio Cappella e Pasquale Tina.
Progetto editoriale Fabio Testa.
In omaggio il CD "Come pagine di Favola" di Giovanni D'Ambrosio e Antonio Annona.
INTERVERRANNO ANTONELLO PERILLO E FRANCESCO PINTO.
martedì 3 maggio 2011
LA FOTO DI BIN LADEN
Ho appreso della morte di Bin Laden in maniera abbastanza singolare: mi ha chiamato mio marito.
Io andavo a lavoro, le otto e trenta del mattino, Fabio mi telefona per chiedermi se avevo sentito la notizia del giorno alla radio: "Hai sentito che è morto Bin Laden?". No. Non lo avevo ancora sentito perchè era una di quelle mattine che non mi andava di sentire quello che la radio, in maniera "autogestita", mandava.
Sono arrivata in ufficio e già tutti ne parlavano, e straparlavano.
Tralascio le mie sensazioni emotive a proposito della notizia, poichè nonostante dieci anni di filmati e testimonianze volte ad alimentare l'odio nei confronti di quell'uomo, non ho potuto fare a meno di passare da un senso di sollievo ad una profonda tristezza per la mancanza di umanità che io stessa stavo dimostrando.
Mi piace notare, però, che la notizia è di quelle che spingono i parenti a chiamarti, una di quelle cose che si ha bisogno di comunicare, di trasformare in "detto" perchè assuma una sua verità. Poichè in questo Blog, poi, ci occupiamo di fotografia mi preme sottolineare come ancora oggi ci si lasci soggiogare dal potere dell'immagine.
Prima che qualche esperto del settore non affermasse che la foto del Bin Laden morto è un clamoroso falso, tutte le testate giornaliste del nostro Paese l'hanno mandata in onda a riprova della sua morte.
Sebbene la postura della testa, la dentatura un po' scoperta, l'inclinazione del corpo, fossero quelle già viste in una delle foto di repertorio più famose di Bin Laden, nessuno ha dubitato che quella foto attestasse la definitiva morte dell'uomo.
Adesso questo "scomodo" incidente apre il fianco a nuove perplessità sulla "presunta" fine dello sceicco. Sì, perchè se la prima foto è falsa chi ci assicura che le successive saranno vere? E' aperta, dunque, la gara ricca di promesse dei nostri quotidiani che aspettano le nuove immagini volte a comprovare una realtà non ancora certa, dal momento che non esiste una foto a dimostrarlo:
DA CORRIERE.IT:
Difficile verificare l'autenticità dello scatto rilanciato dagli hacker di Anonymyus.
Usa: «Foto atroci, aspettiamo a darle»
La Casa Bianca sta valutando se diffondere le immagini e un video girato dalla telecamera sull'elmetto dei soldati
Difficile verificare l'autenticità dello scatto rilanciato dagli hacker di Anonymyus
Lo scatto che circola sul web
MILANO - Circola sulla rete una nuova foto del cadavere di Osama Bin Laden . Si tratta di un'immagine a raggi infrarossi rilanciata sul social network Twitter, nell'edizione inglese, dagli hacker di Anonymous.
Impossibile, per ora, verificare l'autenticità dello scatto realizzato in notturna. L'uomo indicato come il leader di AlQaeda giace a terra con una ferita sopra l'occhio destro. Il corpo sembra sorretto da un soldato Usa.
Ricordate la Prima Guerra del Golfo? Il 18 gennaio 1991 il Tornado pilotato da Gianmarco Bellini fu abbattuto ed agli stesso, con il compagno Maurizio Cocciolone, fu fatto prigioniero.
Era il 20 gennaio 1991: la Cnn mostrò al mondo intero il volto tumefatto di un uomo che stentatamente in inglese disse: «My name is Maurizio Cocciolone».
Prima di quel momento nonostante le immagini di lontani folgori, i suoni che raccontavano di bombe e spari, prima di quel momento la guerra del Golfo non ci era sembrata una cosa reale. Appena, però, ci apparve il volto del nostro connazionale devastato, anche la guerra, d'un tratto, ci sembrò una cosa che stava realmente accadendo. E la faccia di Cocciolone fu destinata, suo malgrado, a diventare famosa.
Altro racconto di prigionia quello di Fabrizio Quattrocchi che fu preso in ostaggio a Bagdad, il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani del gruppo autoproclamatosi "Falangi Verdi di Maometto", mai identificati.
Anche in questo caso furono diffuse delle immagini che raccontavano della prigionia, in particolare per il povero Quattrocchi anche quelle della sua morte conclusasi con l'oramai famosa frase: adesso vi faccio vedere come muore un italiano.
DA WIKIPEDIA: "Non sono tuttora completamente chiari i motivi per cui i rapitori decisero di uccidere Fabrizio Quattrocchi, lasciando in vita i suoi colleghi, ma si conoscono i suoi ultimi momenti di vita, registrati su video. Nel giugno del 2004 il quotidiano londinese Sunday Times pubblicò un'intervista a un iracheno, il cui nome di battaglia è Abu Yussuf, dichiaratosi membro del gruppo di rapitori dei quattro italiani. Yussuf dichiarò di aver girato personalmente il video dell'uccisione dell'italiano.Solo nel gennaio 2006 il TG1 della RAI ricevette un filmato relativo all'uccisione di Quattrocchi e lo trasmise parzialmente, interrompendone la riproduzione un attimo prima del momento degli spari «per rispetto della sensibilità della famiglia e dei telespettatori». Nel suo blog[7] il giornalista del TG1 Pino Scaccia ne riferisce il contenuto completo:
« Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: "Posso toglierla?" riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde "no". E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano". Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. "È nemico di Dio, è nemico di Allah", concludono in coro i sequestratori. »
(Pino Scaccia, 9 gennaio 2006, descrivendo il filmato dell'uccisione di Fabrizio Quattrocchi)"
Cupertino, Agliana e Stefio furono liberati l'8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia. Tutta Italia attendeva davanti al televisore l'arrivo dei tre alla'aereoporto di Ciampino: abituati a vederli nella loro versione di prigionieri
stentavamo a riconoscerli in buona forma, una volta usciti dall'aereo. Come se in quell'aereo non avessero avuto la possibilità di lavarsi e vestirsi in maniera decorosa,
la forza dell'immagine nella nostra testa era più forte di quella vera.
E' necessario, insomma, che una completa documentazione visiva ci informi sulla realtà delle cose. E' così necessario.... eppure non siamo mai veramente convinti se non guardiamo con i nostri occhi.
Stiamo, dopotutto, ancora chiedendoci se Neil Alden Armstrong è veramente atterrato sulla luna...
Io andavo a lavoro, le otto e trenta del mattino, Fabio mi telefona per chiedermi se avevo sentito la notizia del giorno alla radio: "Hai sentito che è morto Bin Laden?". No. Non lo avevo ancora sentito perchè era una di quelle mattine che non mi andava di sentire quello che la radio, in maniera "autogestita", mandava.
Sono arrivata in ufficio e già tutti ne parlavano, e straparlavano.
Tralascio le mie sensazioni emotive a proposito della notizia, poichè nonostante dieci anni di filmati e testimonianze volte ad alimentare l'odio nei confronti di quell'uomo, non ho potuto fare a meno di passare da un senso di sollievo ad una profonda tristezza per la mancanza di umanità che io stessa stavo dimostrando.
Mi piace notare, però, che la notizia è di quelle che spingono i parenti a chiamarti, una di quelle cose che si ha bisogno di comunicare, di trasformare in "detto" perchè assuma una sua verità. Poichè in questo Blog, poi, ci occupiamo di fotografia mi preme sottolineare come ancora oggi ci si lasci soggiogare dal potere dell'immagine.
Prima che qualche esperto del settore non affermasse che la foto del Bin Laden morto è un clamoroso falso, tutte le testate giornaliste del nostro Paese l'hanno mandata in onda a riprova della sua morte.
Sebbene la postura della testa, la dentatura un po' scoperta, l'inclinazione del corpo, fossero quelle già viste in una delle foto di repertorio più famose di Bin Laden, nessuno ha dubitato che quella foto attestasse la definitiva morte dell'uomo.
Adesso questo "scomodo" incidente apre il fianco a nuove perplessità sulla "presunta" fine dello sceicco. Sì, perchè se la prima foto è falsa chi ci assicura che le successive saranno vere? E' aperta, dunque, la gara ricca di promesse dei nostri quotidiani che aspettano le nuove immagini volte a comprovare una realtà non ancora certa, dal momento che non esiste una foto a dimostrarlo:
DA CORRIERE.IT:
Difficile verificare l'autenticità dello scatto rilanciato dagli hacker di Anonymyus.
Usa: «Foto atroci, aspettiamo a darle»
La Casa Bianca sta valutando se diffondere le immagini e un video girato dalla telecamera sull'elmetto dei soldati
Difficile verificare l'autenticità dello scatto rilanciato dagli hacker di Anonymyus
Lo scatto che circola sul web
MILANO - Circola sulla rete una nuova foto del cadavere di Osama Bin Laden . Si tratta di un'immagine a raggi infrarossi rilanciata sul social network Twitter, nell'edizione inglese, dagli hacker di Anonymous.
Impossibile, per ora, verificare l'autenticità dello scatto realizzato in notturna. L'uomo indicato come il leader di AlQaeda giace a terra con una ferita sopra l'occhio destro. Il corpo sembra sorretto da un soldato Usa.
Ricordate la Prima Guerra del Golfo? Il 18 gennaio 1991 il Tornado pilotato da Gianmarco Bellini fu abbattuto ed agli stesso, con il compagno Maurizio Cocciolone, fu fatto prigioniero.
Era il 20 gennaio 1991: la Cnn mostrò al mondo intero il volto tumefatto di un uomo che stentatamente in inglese disse: «My name is Maurizio Cocciolone».
Prima di quel momento nonostante le immagini di lontani folgori, i suoni che raccontavano di bombe e spari, prima di quel momento la guerra del Golfo non ci era sembrata una cosa reale. Appena, però, ci apparve il volto del nostro connazionale devastato, anche la guerra, d'un tratto, ci sembrò una cosa che stava realmente accadendo. E la faccia di Cocciolone fu destinata, suo malgrado, a diventare famosa.
Altro racconto di prigionia quello di Fabrizio Quattrocchi che fu preso in ostaggio a Bagdad, il 13 aprile 2004, insieme ai colleghi Umberto Cupertino, Maurizio Agliana e Salvatore Stefio, da miliziani del gruppo autoproclamatosi "Falangi Verdi di Maometto", mai identificati.
Anche in questo caso furono diffuse delle immagini che raccontavano della prigionia, in particolare per il povero Quattrocchi anche quelle della sua morte conclusasi con l'oramai famosa frase: adesso vi faccio vedere come muore un italiano.
DA WIKIPEDIA: "Non sono tuttora completamente chiari i motivi per cui i rapitori decisero di uccidere Fabrizio Quattrocchi, lasciando in vita i suoi colleghi, ma si conoscono i suoi ultimi momenti di vita, registrati su video. Nel giugno del 2004 il quotidiano londinese Sunday Times pubblicò un'intervista a un iracheno, il cui nome di battaglia è Abu Yussuf, dichiaratosi membro del gruppo di rapitori dei quattro italiani. Yussuf dichiarò di aver girato personalmente il video dell'uccisione dell'italiano.Solo nel gennaio 2006 il TG1 della RAI ricevette un filmato relativo all'uccisione di Quattrocchi e lo trasmise parzialmente, interrompendone la riproduzione un attimo prima del momento degli spari «per rispetto della sensibilità della famiglia e dei telespettatori». Nel suo blog[7] il giornalista del TG1 Pino Scaccia ne riferisce il contenuto completo:
« Fabrizio Quattrocchi è inginocchiato, le mani legate, incappucciato. Dice con voce ferma: "Posso toglierla?" riferito alla kefiah. Qualcuno gli risponde "no". E allora egli tenta di togliersi la benda e pronuncia: "Adesso vi faccio vedere come muore un italiano". Passano secondi e gli sparano da dietro con la pistola. Tre colpi. Due vanno a segno, nella schiena. Quattrocchi cade testa in giù. Lo rigirano, gli tolgono la kefia, mostrano il volto alla telecamera, poi lo buttano dentro una fossa già preparata. "È nemico di Dio, è nemico di Allah", concludono in coro i sequestratori. »
(Pino Scaccia, 9 gennaio 2006, descrivendo il filmato dell'uccisione di Fabrizio Quattrocchi)"
Cupertino, Agliana e Stefio furono liberati l'8 giugno 2004, dopo 58 giorni di prigionia. Tutta Italia attendeva davanti al televisore l'arrivo dei tre alla'aereoporto di Ciampino: abituati a vederli nella loro versione di prigionieri
stentavamo a riconoscerli in buona forma, una volta usciti dall'aereo. Come se in quell'aereo non avessero avuto la possibilità di lavarsi e vestirsi in maniera decorosa,
la forza dell'immagine nella nostra testa era più forte di quella vera.
E' necessario, insomma, che una completa documentazione visiva ci informi sulla realtà delle cose. E' così necessario.... eppure non siamo mai veramente convinti se non guardiamo con i nostri occhi.
Stiamo, dopotutto, ancora chiedendoci se Neil Alden Armstrong è veramente atterrato sulla luna...
mercoledì 23 marzo 2011
OGGI E' MORTO UN BRAVO DIRETTORE DELLA FOTOGRAFIA.
Si chiamava Michele Petronelli ed è stato uno dei maestri di Fabio Testa, tra gli operatori steadicam più apprezzati e conosciuti del panorama televisivo nazionale.
Alla notizia della sua morte, una grande quantità di amici lo ha
salutato attraverso facebook. Naturale che Michele non avrebbe potuto rispondere loro nulla, per cui non avrebbe avuto molto senso scrivere sulla sua bacheca. Eppure è proprio quello che ciascuno di loro ha fatto. Come a farsi le condoglianze gli uni con gli altri attraverso la rete. Per non parlare di chi attraverso proprio questo tam tam mediatico è venuto a conoscenza della morte dell'amico.
Leggere le risposte alle battute, alle foto che gli inviavano, la sua parte di facebook quando era ancora sua, quando era vivo, mi ha scosso molto. In quel passaggio da un giorno all'altro, da un'ora all'altra, è stato morto pure nel suo stesso sito facebook. E' stato strano. Non so se come figlia, madre, moglie, mi piacerebbe leggere tutti questi peana... forse preferirei un abbraccio... So bene che l'uno non preclude l'altro e probabilmente in queste ore i suoi familiari non penseranno certo di collegarsi al suo profilo... o forse sì... Sapendo che tante immagini "inedite" di Michele cominciano a riempire la sua pagina, potrebbero anche trarre giovamento da una visita ai suoi sorrisi, alle sue buffe espressioni, al suo fare da professionista. Di certo è stato un riferimento per tanti che hanno fatto e fanno televisione. Di certo è stato tanto amato ed apprezzato.
Buon viaggio.
Si chiamava Michele Petronelli ed è stato uno dei maestri di Fabio Testa, tra gli operatori steadicam più apprezzati e conosciuti del panorama televisivo nazionale.
Alla notizia della sua morte, una grande quantità di amici lo ha
salutato attraverso facebook. Naturale che Michele non avrebbe potuto rispondere loro nulla, per cui non avrebbe avuto molto senso scrivere sulla sua bacheca. Eppure è proprio quello che ciascuno di loro ha fatto. Come a farsi le condoglianze gli uni con gli altri attraverso la rete. Per non parlare di chi attraverso proprio questo tam tam mediatico è venuto a conoscenza della morte dell'amico.
Leggere le risposte alle battute, alle foto che gli inviavano, la sua parte di facebook quando era ancora sua, quando era vivo, mi ha scosso molto. In quel passaggio da un giorno all'altro, da un'ora all'altra, è stato morto pure nel suo stesso sito facebook. E' stato strano. Non so se come figlia, madre, moglie, mi piacerebbe leggere tutti questi peana... forse preferirei un abbraccio... So bene che l'uno non preclude l'altro e probabilmente in queste ore i suoi familiari non penseranno certo di collegarsi al suo profilo... o forse sì... Sapendo che tante immagini "inedite" di Michele cominciano a riempire la sua pagina, potrebbero anche trarre giovamento da una visita ai suoi sorrisi, alle sue buffe espressioni, al suo fare da professionista. Di certo è stato un riferimento per tanti che hanno fatto e fanno televisione. Di certo è stato tanto amato ed apprezzato.
Buon viaggio.
lunedì 28 febbraio 2011
Morti nel Social Club
La morte è un argomento intramontabile nella cronaca cittadina come nelle scienze sociali. Le usanze e le conseguenze che riguardano la morte sono da sempre oggetto di grande interesse: dal cannibalismo mediatico (sterminata la bibliografica mediatica su Sara Scazzi, ad esempio) al cannibalismo ante-litteram (consiglio di leggere in proposito un bellissimo libro di Clastres Cronache di una tribù sull’endocannibalismo. (1)).
Il rapporto tra la morte e le sue rappresentazioni si evolve al ritmo al quale si evolvono le possibilità di rappresentarsi. Per rimanere nel filo del discorso intrapreso in questo blog, tra immagini e rappresentazioni del sé (2), vi riporto un articolo di Ferdinando Cotugno apparso su Vanity Fair del 02 marzo 2011, pag104: “CHI DI FACEBOOK FERISCE…
Ogni giorno «postiamo» pensieri, video e foto: ma che cosa succede alle tracce digitali di chi muore? E che ne sarà dei due milioni di utenti del network di Zuckerberg che quest’anno passeranno a miglior vita? Dai testamenti elettronici agli avatar, ecco come congedarsi dagli «amici» e guadagnarsi un’immortalità dignitosa. Almeno su Internet.
METTERE IL SIGILLO
Dei 600 milioni di utenti di Facebook, nel 2011 ne morirano 1,78 milioni (dai Entrustet): circa 3 al minuto. Il social network offre l’opportunità di «memorializzare» il profilo. Chi conosceva la persona, può mandare al sito una prova della sua scomparsa (basta anche un necrologio), perché la pagina venga sigillata: non si potrà più trovare su Google, nessuno si potrà più loggare, ma sarà a disposizione solo di «amici» e parenti.
FARE TESTAMENTO
Su Internet ci sono anche esecutori testamentari digitali: siti ai quali si consegna la copia di ogni contenuto digitale che si vuole tramandare dopo la morte. Un testamento fatto di foto, file, testi, e soprattutto password per l’email e il blog, che dopo la morte saranno consegnati all’erede digitale. (…)
CREARSI L’AVATAR.
Chi vuole esagerare, e crede nell’immortalità digitale, può costruirsi un sé digitale perpetuo su Virtual Eternity (…), sito che promette di creare un avatar che ti somiglia, che parla e ragiona come te, che tu puoi addestrare prima di morire e che rimane sul sito indefinitamente dopo la tua morte. Potrà chiacchierare, comunicare e interagire con chiunque abbia un attacco di nostalgia.”
Da dove cominciare… direi che fare testamento in modo digitale non rappresenta poi una grande novità. Diciamo che cambia solamente la forma, ma da sempre in cassette di sicurezza legate al nome di una Banca, si cerca di memorializzare la propria vita e di lasciare la cosiddetta eredità… che questa oggi sia fatta dalla mia faccia (FACE-BOOK) lo trovo ancora nel novero delle cose “normali”. Anche perché come abbiamo visto l’identità costruita su facebook è un bene prezioso, è la migliore che io possa avere, dal momento che è la mia rappresentazione di me, è quello che io ho scelto di mostrare nel racconto digitale della mia vita.
Ma a ben vedere anche l’avatar digitale non è una novità. Prima si facevano i figli. Questi, però, non sempre riescono ben programmati come si vorrebbe. Allora, perché correre il rischio mentre si può avere un clone che non possa deviare dal percorso che si è tracciato per lui?
Viene, però, da chiedersi: e i buchi della rete?
Sì, perché cose messe in rete cinque anni fa, ad esempio, possono non essere più rintracciabili, chi ci assicura che la nostra vita-digitale resti in ETERNITY, come vuole il nome?
La ricerca è sempre quella dell’immortalità. Nessuno vuol rassegnarsi all’idea di non esserci nel mondo, ma se non lasciamo eredi, se non facciamo figli, quanti amici ci potranno sopravvivere per cercarci nella nostra Virtual Eternity?
Perchè ci importa tanto di sopravvivere digitalmente?
Siamo tanto affezionati alle nostre immagini. Vogliamo che rimangano, che rimanga il video bello del nostro ballo in spiaggia, che questo diario videogestito sia pure, ancora, vivente quando noi non saremo più.
La domanda di fondo, quindi, rimane sempre la stessa. Anni di cambiamento, di nuove “mode”, di innovative dimensioni… Cambiano le tecnologie, ma la ricerca è la stessa che ha precedenti nella resurrezione cristiana, come nella sopravvivenza dell’anima… che quest’anima possa essere quanto più possibile addestrata a nostra immagine attraverso un avatar digitale, o che sia lasciata alla mercé di un beneamato padreterno, l’importante è che “immanentemente” resti.
(1) PARTE DELLA NONA LEZIONE DI ANDREA ADRUSINI
Pierre Clasters ha vissuto presso gli indiani Guayaki del Paraguay e dopo le prime resistenze ha scoperto che mangiavano carne umana. Il motivo? "E' dolcissima, meglio ancora della carne di maiale selvatico" (1980, p.231). In Polinesia, spiega Clastres, la mancanza di proteine può spiegare la pratica del cannibalismo alimentare. Ma per gli aché la carne rappresenta l'alimento principale, e pertanto non uccidevano per mangiare ma mangiavano semplicemente i loro morti (endocannibalismo). (...)
Tra gli aché tuttavia mangiare carne umana nasconde un profondo significato religioso, perché quest'atto rappresenta l'estrema onoranza che i vivi riservano ai morti. Trascurare di portare un po' di carne ai propri amici sarebbe considerata un'ingiuria gravissima, capace di scatenare delle ostilità. Tutti i componenti della tribù mangiano la carne del defunto, tranne i parenti più prossimi: non si vedrà mai un fratello mangiare la sorella,e se un padre mangiasse la figlia commetterebbe metaforicamente incesto. L'adiacenza del tabù alimentare con il divieto dell'incesto è quindi evidente. (…)
Se si chiede ai Guayaki perché sono cannibali essi non sanno rispondere: la spiegazione rimane nelle pieghe dell'inconscio. Una spiegazione forse risiede nel fatto che se i morti vengono semplicemente seppelliti, le loro anime (ianve) vogliono trascinare gli aché nel paese degli antenati: se i morti vengono mangiati, "ianve se ne va via svolazzando" (Clastres, 1980, p.239). Quindi il cannibalismo sarebbe una tecnica supplementare di difesa contro le anime dei morti. "Se i morti non vengono mangiati, arriva il baivwä, ci ammaliamo gravemente e moriamo" (Clastres, cit., p. 240). A questo si aggiunge anche la credenza nella reincarnazione ("sono l'anima di quel tale"). L'ultimo atto d'amore di una moglie è quello di dire al marito di mangiarla completamente, così non si ammalerà a causa del baivwä (malattia causata dallo spirito del defunto). L'ultimo atto d'amore del marito nei confronti della moglie è quello di esaudire il suo ultimo desiderio. Gli aché ritengono pertanto che la carne umana abbia un valore terapeutico (…).
(2) In particolare nell’ambito della Antropologia Visuale il rapporto tra immagini e morte è ben indagato da Francesco Faeta nel suo Imago Mortis.
La morte è un argomento intramontabile nella cronaca cittadina come nelle scienze sociali. Le usanze e le conseguenze che riguardano la morte sono da sempre oggetto di grande interesse: dal cannibalismo mediatico (sterminata la bibliografica mediatica su Sara Scazzi, ad esempio) al cannibalismo ante-litteram (consiglio di leggere in proposito un bellissimo libro di Clastres Cronache di una tribù sull’endocannibalismo. (1)).
Il rapporto tra la morte e le sue rappresentazioni si evolve al ritmo al quale si evolvono le possibilità di rappresentarsi. Per rimanere nel filo del discorso intrapreso in questo blog, tra immagini e rappresentazioni del sé (2), vi riporto un articolo di Ferdinando Cotugno apparso su Vanity Fair del 02 marzo 2011, pag104: “CHI DI FACEBOOK FERISCE…
Ogni giorno «postiamo» pensieri, video e foto: ma che cosa succede alle tracce digitali di chi muore? E che ne sarà dei due milioni di utenti del network di Zuckerberg che quest’anno passeranno a miglior vita? Dai testamenti elettronici agli avatar, ecco come congedarsi dagli «amici» e guadagnarsi un’immortalità dignitosa. Almeno su Internet.
METTERE IL SIGILLO
Dei 600 milioni di utenti di Facebook, nel 2011 ne morirano 1,78 milioni (dai Entrustet): circa 3 al minuto. Il social network offre l’opportunità di «memorializzare» il profilo. Chi conosceva la persona, può mandare al sito una prova della sua scomparsa (basta anche un necrologio), perché la pagina venga sigillata: non si potrà più trovare su Google, nessuno si potrà più loggare, ma sarà a disposizione solo di «amici» e parenti.
FARE TESTAMENTO
Su Internet ci sono anche esecutori testamentari digitali: siti ai quali si consegna la copia di ogni contenuto digitale che si vuole tramandare dopo la morte. Un testamento fatto di foto, file, testi, e soprattutto password per l’email e il blog, che dopo la morte saranno consegnati all’erede digitale. (…)
CREARSI L’AVATAR.
Chi vuole esagerare, e crede nell’immortalità digitale, può costruirsi un sé digitale perpetuo su Virtual Eternity (…), sito che promette di creare un avatar che ti somiglia, che parla e ragiona come te, che tu puoi addestrare prima di morire e che rimane sul sito indefinitamente dopo la tua morte. Potrà chiacchierare, comunicare e interagire con chiunque abbia un attacco di nostalgia.”
Da dove cominciare… direi che fare testamento in modo digitale non rappresenta poi una grande novità. Diciamo che cambia solamente la forma, ma da sempre in cassette di sicurezza legate al nome di una Banca, si cerca di memorializzare la propria vita e di lasciare la cosiddetta eredità… che questa oggi sia fatta dalla mia faccia (FACE-BOOK) lo trovo ancora nel novero delle cose “normali”. Anche perché come abbiamo visto l’identità costruita su facebook è un bene prezioso, è la migliore che io possa avere, dal momento che è la mia rappresentazione di me, è quello che io ho scelto di mostrare nel racconto digitale della mia vita.
Ma a ben vedere anche l’avatar digitale non è una novità. Prima si facevano i figli. Questi, però, non sempre riescono ben programmati come si vorrebbe. Allora, perché correre il rischio mentre si può avere un clone che non possa deviare dal percorso che si è tracciato per lui?
Viene, però, da chiedersi: e i buchi della rete?
Sì, perché cose messe in rete cinque anni fa, ad esempio, possono non essere più rintracciabili, chi ci assicura che la nostra vita-digitale resti in ETERNITY, come vuole il nome?
La ricerca è sempre quella dell’immortalità. Nessuno vuol rassegnarsi all’idea di non esserci nel mondo, ma se non lasciamo eredi, se non facciamo figli, quanti amici ci potranno sopravvivere per cercarci nella nostra Virtual Eternity?
Perchè ci importa tanto di sopravvivere digitalmente?
Siamo tanto affezionati alle nostre immagini. Vogliamo che rimangano, che rimanga il video bello del nostro ballo in spiaggia, che questo diario videogestito sia pure, ancora, vivente quando noi non saremo più.
La domanda di fondo, quindi, rimane sempre la stessa. Anni di cambiamento, di nuove “mode”, di innovative dimensioni… Cambiano le tecnologie, ma la ricerca è la stessa che ha precedenti nella resurrezione cristiana, come nella sopravvivenza dell’anima… che quest’anima possa essere quanto più possibile addestrata a nostra immagine attraverso un avatar digitale, o che sia lasciata alla mercé di un beneamato padreterno, l’importante è che “immanentemente” resti.
(1) PARTE DELLA NONA LEZIONE DI ANDREA ADRUSINI
Pierre Clasters ha vissuto presso gli indiani Guayaki del Paraguay e dopo le prime resistenze ha scoperto che mangiavano carne umana. Il motivo? "E' dolcissima, meglio ancora della carne di maiale selvatico" (1980, p.231). In Polinesia, spiega Clastres, la mancanza di proteine può spiegare la pratica del cannibalismo alimentare. Ma per gli aché la carne rappresenta l'alimento principale, e pertanto non uccidevano per mangiare ma mangiavano semplicemente i loro morti (endocannibalismo). (...)
Tra gli aché tuttavia mangiare carne umana nasconde un profondo significato religioso, perché quest'atto rappresenta l'estrema onoranza che i vivi riservano ai morti. Trascurare di portare un po' di carne ai propri amici sarebbe considerata un'ingiuria gravissima, capace di scatenare delle ostilità. Tutti i componenti della tribù mangiano la carne del defunto, tranne i parenti più prossimi: non si vedrà mai un fratello mangiare la sorella,e se un padre mangiasse la figlia commetterebbe metaforicamente incesto. L'adiacenza del tabù alimentare con il divieto dell'incesto è quindi evidente. (…)
Se si chiede ai Guayaki perché sono cannibali essi non sanno rispondere: la spiegazione rimane nelle pieghe dell'inconscio. Una spiegazione forse risiede nel fatto che se i morti vengono semplicemente seppelliti, le loro anime (ianve) vogliono trascinare gli aché nel paese degli antenati: se i morti vengono mangiati, "ianve se ne va via svolazzando" (Clastres, 1980, p.239). Quindi il cannibalismo sarebbe una tecnica supplementare di difesa contro le anime dei morti. "Se i morti non vengono mangiati, arriva il baivwä, ci ammaliamo gravemente e moriamo" (Clastres, cit., p. 240). A questo si aggiunge anche la credenza nella reincarnazione ("sono l'anima di quel tale"). L'ultimo atto d'amore di una moglie è quello di dire al marito di mangiarla completamente, così non si ammalerà a causa del baivwä (malattia causata dallo spirito del defunto). L'ultimo atto d'amore del marito nei confronti della moglie è quello di esaudire il suo ultimo desiderio. Gli aché ritengono pertanto che la carne umana abbia un valore terapeutico (…).
(2) In particolare nell’ambito della Antropologia Visuale il rapporto tra immagini e morte è ben indagato da Francesco Faeta nel suo Imago Mortis.
domenica 23 gennaio 2011
L'importanza dell'audio...
Dalla "Guerra del Fuoco" di Annaud a "Dogville": due film in cui la centralità di suoni, effetti e musiche riescono addirittura a sostituire sulla scena gli oggetti (nel caso di Dogville) e le parole (nel caso di Annaud) per arrivare alla costruzione di un universo emotivo altrettanto forte, se non di più.
Nel caso di Dogville la scommessa vinta è particolarmente riuscita, dal momento che la scelta del luogo (una sorta di set aperto, un magazzino, un teatro di posa, di quelli in cui gli attori provano servendosi solo dei loro corpi e qualche oggetto di scena) sembrerebbe minare in maniera definitiva la possibilità di immedesimazione dello spettatore. Ma tutto l'orrore descritto nelle azioni dei protagonisti, orrore che dalla sceneggiatura attraversa decisamente chi legge, viene decuplicato sullo schermo proprio dallo scarno della scena e dall'assoluto protagonismo dei suoni, dall'eco della presenze, da tutto quello che si finisce per sentire e non vedere.
La "Guerra del fuoco", invece, si serve della musica e dei versi gutturali di questo gruppo di primitivi per proporre una discesa nella preistoria. Ho faticato un po' per entrare nel film, ma ne è valsa la pena, dal momento che ci si affeziona ai protagonisti si è curiosi di conoscere l'esito della loro vicenda.
Si tratta di due capolavori. A mio giudizio un antropologo interessato alla modalità visiva non dovrebbe perderseli.
Aspetto vostri pareri in merito.
Nel caso di Dogville la scommessa vinta è particolarmente riuscita, dal momento che la scelta del luogo (una sorta di set aperto, un magazzino, un teatro di posa, di quelli in cui gli attori provano servendosi solo dei loro corpi e qualche oggetto di scena) sembrerebbe minare in maniera definitiva la possibilità di immedesimazione dello spettatore. Ma tutto l'orrore descritto nelle azioni dei protagonisti, orrore che dalla sceneggiatura attraversa decisamente chi legge, viene decuplicato sullo schermo proprio dallo scarno della scena e dall'assoluto protagonismo dei suoni, dall'eco della presenze, da tutto quello che si finisce per sentire e non vedere.
La "Guerra del fuoco", invece, si serve della musica e dei versi gutturali di questo gruppo di primitivi per proporre una discesa nella preistoria. Ho faticato un po' per entrare nel film, ma ne è valsa la pena, dal momento che ci si affeziona ai protagonisti si è curiosi di conoscere l'esito della loro vicenda.
Si tratta di due capolavori. A mio giudizio un antropologo interessato alla modalità visiva non dovrebbe perderseli.
Aspetto vostri pareri in merito.
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