Dalla "Guerra del Fuoco" di Annaud a "Dogville": due film in cui la centralità di suoni, effetti e musiche riescono addirittura a sostituire sulla scena gli oggetti (nel caso di Dogville) e le parole (nel caso di Annaud) per arrivare alla costruzione di un universo emotivo altrettanto forte, se non di più.
Nel caso di Dogville la scommessa vinta è particolarmente riuscita, dal momento che la scelta del luogo (una sorta di set aperto, un magazzino, un teatro di posa, di quelli in cui gli attori provano servendosi solo dei loro corpi e qualche oggetto di scena) sembrerebbe minare in maniera definitiva la possibilità di immedesimazione dello spettatore. Ma tutto l'orrore descritto nelle azioni dei protagonisti, orrore che dalla sceneggiatura attraversa decisamente chi legge, viene decuplicato sullo schermo proprio dallo scarno della scena e dall'assoluto protagonismo dei suoni, dall'eco della presenze, da tutto quello che si finisce per sentire e non vedere.
La "Guerra del fuoco", invece, si serve della musica e dei versi gutturali di questo gruppo di primitivi per proporre una discesa nella preistoria. Ho faticato un po' per entrare nel film, ma ne è valsa la pena, dal momento che ci si affeziona ai protagonisti si è curiosi di conoscere l'esito della loro vicenda.
Si tratta di due capolavori. A mio giudizio un antropologo interessato alla modalità visiva non dovrebbe perderseli.
Aspetto vostri pareri in merito.