mercoledì 11 aprile 2012

Morte in Foto

Non solo per Ferdinando II, re delle Due Sicilie, ma anche per gente comune, in special modo negli anni Cinquanta, l'attestazione dell'avvenuto decesso era certificata da una foto del malcapitato sul letto di morte.

Ferdinando II RE delle Due Sicilie (da Wikipedia)


Luogo e data della ripresa: Milano (MI), Italia, 1950
Materia/tecnica: gelatina bromuro d'argento/vetro
Misure: 10 x 15
Collocazione: Milano (MI), Regione Lombardia, fondo Studio Tollini, TLI_144_LS_DQ
Genereritratto
Compilatore: Ginex, Giovanna (2001)
Referente scientifico: Ginex, Giovanna
Funzionario responsabile: Minervini, Enzo

Nel corso di una ricerca svolta in Campania agli inizi degli anni Novanta classificammo, con l'antropologa napoletana Silvana Chianese, una quantità di fotografie relative al letto di morte, ma pure interi album fotografici che venivano dedicati alla morte come al matrimonio. Si trattava di raccolte che rendevano conto del letto di morte, del corteo funebre, della bara in chiesa e di un vero e proprio corredo di prefiche e parenti piangenti. Tra gli album ritrovati ce n'erano diversi risalenti anche alla fine degli anni Ottanta. Il senso di queste raccolte fotografiche? Rendere omaggio alla memoria dello scomparso, ma pure certificare l'importanza che per la famiglia aveva quella morte.
Il tiro a otto, il tiro a sei, la qualità e il numero delle corone, la presenza di notabili nel corteo, di prefiche, di familiari disperati... tutto era attestato nelle foto degli album e rimarcato ogni volta che una pagina lasciava il posto alla successiva da chi ci raccontava la storia di quel funerale. Sì, perché sostanzialmente gli album fotografici servono a raccontare la storia. "Questo è il vedovo... guardate nel corteo c'è anche l'amica della moglie che avrebbe sposato qualche anno dopo..."; "Quello è il vecchio parroco, quello che fece suonare la banda quando morì il bambino del fattore sotto l'aratro..."
E via così.
Esiste poi un'altra foto di Morte. Più intima, più personale. Si tratta della "pagellina". Si usa portare questa fotografia nel portafogli, nella borsa, nel cassetto, intrattenendo con essa una relazione più stretta, utilizzandola come costante riferimento al defunto. 
Quella ricerca: "Di fronte alla Morte. La foto come sistema di superamento della crisi e rifondazione della presenza", conta oramai quasi vent'anni. I suoi esiti dimostrarono come la foto di morte, in quanto rito nel rito, si imperniava attorno al paradossale desiderio di mantenere il legame di fronte alla morte e di assicurare il predominio della volontà di vita sulla tendenza a disperdersi. Il rito permette ai sopravvissuti non solo di gestire l'evento morte, ma di risollevarsi da quel senso di generale disorientamento in cui la morte li ha fatti precipitare. La foto di morte come rito nel rito, appunto, riveste per i sopravvissuti un'importanza tale da renderne difficile sia il reperimento che la riproduzione. Molti si sono lasciati convincere a prestarci le loro foto allo scopo di riprodurle per la Federico II, solo per interposta persona e dopo parecchie insistenze. D'altra parte anche io e Silvana avvertivamo un certo disagio a "sezionare" le foto, a parlarci attorno, ad estrapolarne informazioni, considerato che erano foto di morti e di loro parenti disperati... ci sembrava di violarne "l'intimità", di rubare qualcosa che apparteneva ad altri, al loro dolore, al loro cordoglio. Anche le domande che ponevamo agli intervistati, di regola parenti prossimi dei protagonisti delle foto, ricevevano risposte infastidite, spesso stringate.
A supporto della ricerca ci piaceva ripetere le sagge parole di Roland Barthes: "... bisogna pure che in una società la Morte abbia una sua collocazione; se essa non è più (o è meno) nella sfera della religione allora dev'essere altrove: forse nell'immagine che produce la Morte volendo conservare la vita". (da La Camera Chiara. Nota sulla fotografia, Torino, Einaudi, 1980).

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